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SCHEDA DIDATTICA 18

 
MATERIALI E TECNICHE: L'INNOVAZIONE DELLE AVANGUARDIE NEL XX SECOLO
(seconda parte)

 
                                                                                                                                                                                 (vai alla prima parte)
 
FROTTAGE

Invenzione surrealista, dovuta a Max Ernst (1925). Si applica sia al disegno che alla pittura.
Il procedimento è semplice: si poggia un supporto (carta o tela) su una superficie ruvida (legno, pietra, tessuto, foglie ecc) e si sfrega con matite, gessetti, pastelli, carboncini ecc.
Lo stesso Ernst chiarirà di aver utilizzato "tutti i tipi di materiali che potrebbero essere nel mio campo visivo: le foglie e le loro nervature, i bordi sfilacciati di un sacchetto di tela, le pennellate di una pittura moderna, un filo di una bobina, e così via" (1937).
Lo sfregamento (frottage deriva dal verbo francese frotter) fa emergere sul supporto delle immagini inaspettate e assolutamente casuali, cosicché questo procedimento 'automatico' consente l'espressione della pura creatività dell'artista, libera 


L'origine del castagno (in Histoire Naturelle), 1926

perchén on impacciata dalla ragione
(parallelamente a grattage, decalcomania, dripping).

Ernst ha adattato la tecnica anche ai dipinti: sulla tela, sempre poggiata su una superficie scabra, con la spatola stendeva alcuni strati di colore e poi rimuoveva quello più fresco, lasciando affiorare il sottostante (foto a destra).

 

 

 




Gesti selvaggi per lo charme
, 1927


 

            

Ernst, Il matrimonio degli uccelli,
1927

 

 

 

 





 
Mirò, Il bramino, 1978

GRATTAGE

Invenzione surrealista, dovuta a Max Ernst (a sinistra).
Come si evince dal nome, il procedimento consisteva nel raschiare (grattare, appunto) la parte più superficiale della pellicola pittorica una volta che si era seccata. In questo modo l'effetto finale era di casualità (vedi pure frottage, decalcomania, dripping)
ma anche di un certo movimento.

È stata utilizzata inoltre da Joan Mirò (a destra), in genere in associazione con altre tecniche.

 

 
INSTALLAZIONE

È difficile dare una definizione di installazione, poiché si tratta di un genere di espressione artistica del tutto particolare: è fortemente concettuale e usa materiali diversi, caratterizzandosi come forma ibrida fra scultura, architettura, allestimento (di opere in una mostra), teatro e performance.
Si tratta solitamente di un'opera tridimensionale formata da elementi diversi
installati, cioè collocati, in uno spazio con una precisa disposizione e che implica il coinvolgimento emotivo e/o fisico di un osservatore.

Il termine comincia ad essere usato in senso proprio negli anni Settanta del XX secolo. Dal decennio successivo entrano a far parte stabilmente delle installazioni dei dispositivi video (proiezioni, schermi ecc).
Attualmente si fa una distinzione tra site-specific (per installazioni permanenti) e non site (per quelle nate in un contesto e poi presentate in musei e esposizioni).

Secondo i critici le origini dell'installazione vanno ricercate in alcune espressioni artistiche delle Avanguardie della prima metà del XX secolo.
 
Prima di tutto nel Merzbau dada di Schwitters.
 
Poi negli allestimenti sperimentali del costruttivista russo El Lissitzky, come lo Spazio Proun realizzato per la Grande Esposizione d'Arte di Berlino del 1923, a metà strada fra architettura e pittura (a).
 



Bruce Naumann alla 53ª Biennale d'Arte di Venezia (2009)

 
Quindi in quelli di Marcel Duchamp, l'inventore del ready-made, ideati per alcune mostre surrealiste:
1938 -
una grotta centrale con sul soffitto sacchi di carbone riempiti però di carta di giornale e con porte girevoli come divisioni: un allestimento che suggeriva un rovesciamento della legge di gravità.
1942 - Sixteen Miles of String (b) nella mostra  newyorchese 'First papers of Surrealism': un intrico di fili (sedici miglia di spago) tesi tra pavimento e soffitto di una sala, come una ragnatela, che rendeva difficile la fruizione delle opere esposte essendo lo spazio espositivo quasi impercorribile.
1938 ma realizzato dal 1946 al 1966 - Etant donnés (c): gli spettatori, uno alla volta, erano invitati ad avvicinarsi alla porta di un fienile e a sbirciare da un foro, oltre il quale c'era un assemblage provocatorio con un nudo femminile sdraiato sull'erba, le gambe aperte e una lampada a gas in mano.
 
Infine, si deve ricordare l'Ambiente spaziale a luce nera (d) allestito nella Galleria del Naviglio di Milano da Lucio Fontana (5-11 febbraio 1949):
un ambiente oscurato da luce nera (lampada di Wood) con appeso al soffitto un elemento di cartapesta, dalla forma astratta e suggestiva, imbevuto di colore fosforescente.
 
 

     

    a -
da Joseph Nechvatal, 1999,  p. 285

  

 

d - Catalogo Mostra del

b - da John Vick, 2008

    c - da Pia Høy, 2000 (3 foto)                                                   1998, Roma,  p. 164

 

 
MERZ

Invenzione di Kurt Schwitters, grande esponente di Dada a Berlino. Il punto di partenza sono il collage polimaterico cubista e il ready-made di Duchamp.
Il termine merz non significa nulla, essendo nato casualmente ritagliando da un opuscolo la parola Kom
merz- und Privatbank per un collage. Schwitters distingueva tra Merzbild (quadro merz) e Merzbau (costruzione merz). In entrambi i casi egli utilizzava per
le sue creazioni oggetti di scarto - bottoni, cicche di sigarette, tappi di bottiglia, biglietti di tram, carte da gioco, pezzi di rete, nastri di stoffa .... - trovati per caso, consumati, vissuti, avanzi della vita quotidiana.
    Merzbild - incolla su un supporto di legno questi oggetti e materiali, in combinazione con pittura a olio. Si crea un 'quadro' polimaterico e tridimensionale nel quale la distinzione tra pittura e scultura diventa labile.
   ●
Merzbau
- con gli oggetti crea una specie di 'costruzione', articolando in forma concretamente tridimensionale l'accumulo. Il primo, e più celebre, di questi assemblage a metà strada tra scultura e architettura è l'Hannover Merzbau (distrutto). Il merzbau è tra i progenitori dell'installazione.


 
Merzbild 14 (lo psichiatra), 1919



Hannover Merzbau, 1923-1936

 

 
a PAPIER-COLLÉ
 
Invenzione cubista.
Consiste nell'incollare su un supporto esclusivamente frammenti di carta (anche da parati o da pacchi), e in questo differisce dal collage, che usa i materiali più disparati.
Tradizionalmente il Piatto di frutta e bicchiere di George Braque (1912) è ritenuto il primo papier collé (
a).

Tra gli artisti che hanno utilizzato questa tecnica c'è Matisse, che incollava forme e figure ritagliate in fogli carta dai colori piatti, uniformi e molto brillanti (come La tristesse du roi, opera del 1952,
b)

 

b

 

 
RAYOGRAFIA & SOLARIZZAZIONE

Tecniche fotografiche inventate nell'ambito delle sperimentazioni dada e surrealiste da Man Ray.
 
Rayografia. Indica una foto ottenuta con la luce ma senza macchina fotografica (Se volete fare fotografie, gettate via la macchina fotografica diceva ai suoi allievi), un procedimento a suo dire scoperto casualmente.
La carta fotografica veniva posta a contatto degli oggetti più svariati ed esposta alla luce. Variando la qualità degli oggetti (opacità, trasparenza), la distanza dalla carta fotografica, la distanza e la posizione delle sorgenti di luce si ottenevano effetti diversi, con varie gradazioni di toni (rayograph, 1922).
 
Solarizzazione. Come spiega lo stesso Man Ray è "un processo di sviluppo in virtù del quale i contorni del viso sono accentuati da una linea nera come nel disegno". Dei notevoli effetti che si potevano ottenere è prova il Nudo del 1931
 

        

 

 
READY-MADE

Invenzione dada, di Marcel Duchamp.
Il termine significa "bell'e fatto", e viene coniato da Duchamp nel 1915 anche se il primo ready-made risale a due anni prima. Indica un oggetto della vita quotidiana, spesso banale, che viene estrapolato dal suo contesto abituale e diventa opera d'arte solo perché un artista lo 'sceglie' e lo 'presenta' come tale: è il caso dello
Scolabottiglie (1914), semplicemente firmato e primo esempio di ready-made 'puro' (a). Il primo ready-made in assoluto è invece Ruota di biclicletta (1913), del tipo 'rettificato': è infatti costituito da una ruota di bicicletta fissata a uno sgabello (b). Ecco come la racconta lo stesso Duchamp: "Già nel 1913 ebbi la felice idea di montare una ruota di bicicletta su uno sgabello di cucina e di osservarla mentre girava. [...] A New York nel 1915 comprai in un negozio di ferramenta una pala per spalare la neve, sulla quale scrissi 'in previsione di un braccio rotto'. Circa in quell'epoca mi venne in mente la parola ready-made per definire questo genere di lavori".
 
a b

Col ready-made l'idea di arte come produzione di opere viene negata. Ma c'è di più. La realtà non entra semplicemente nell'opera d'arte (come nel collage e connesse tecniche polimateriche) ma 'coincide' con l'arte: dalla rappresentazione (per mezzo di una qualunque tecnica) si passa alla presentazione (l'oggetto stesso). E poiché è la scelta operata dell'artista che determina la nuova condizione dell'oggetto, sottratto alla sua funzione pratica originaria, la dimensione ideativo-concettuale prevale decisamente su quella tecnico-esecutiva.

  
       c

Il ready-made ha avuto parecchio successo tra i dadaisti, per tutti Man Ray.
Ma è stato lo spunto anche per altre espressioni artistiche, sempre provocatorie e dissacratorie. Ad esempio, la celebre Merda d'artista di Piero Manzoni (c). Il 21 maggio 1961 l'artista ha sigillato le proprie feci (ma il suo amico Agostino Bonalumi ha dichiarato che si tratta solo di gesso) in 90 barattoli, numerati ed etichettati in quattro lingue (italiano, inglese, francese e tedesco):
merda d'artista - contenuto netto gr.30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961. I barattoli sono conservati in vari musei; il 23 maggio 2007 Sotheby's, a Milano, ha battuto l'esemplare numero 18 a 124.000 euro.

 

PERFORMANCE ART

Forma espressiva nella quale l'opera si identifica con l'azione e/o rappresentazione di uno o più artisti. Nella performance il corpo svolge una funzione centrale, ma sono importanti anche la relazione con il pubblico, il luogo (spazio) e la durata (tempo) dell'evento performativo. Per le sue caratteristiche, si propone come ibridazione di generi, primi fra tutti il teatro e la danza.
Comincia a definirsi e affermarsi negli anni Sessanta del XX secolo con Allan Kaprow, che teorizza l'happening come 'action collage', cioè dell'artista e del pubblico che interagiscono fra di loro. Tra i primi performer occorre ricordare Joseph Beuys, che introduce il concetto di 'scultura sociale'.

I precedenti diretti della performance art si rinvengono, ancora una volta, nelle esperienze sperimentali delle Avanguardie della prima metà del XX secolo.
 
Prima di tutto nelle serate futuriste, cioè gli spettacoli (il primo al Teatro Chiarella di Torino l'8 marzo 1909) nei quali il pubblico veniva intrattenuto in modo a dir poco provocatorio, tanto che spesso si concludevano con l'intervento della polizia per sedare le risse fra gli artisti e gli spettatori arrabbiati. Si trattava di "una combinazione di teatro, concerto, riunione politica, dibattito e tumulto [...] poteva comprendere un'esposizione di quadri, la declamazione di manifesti, i gemiti e gli stridori degli 'intonarumori' di Russolo, gemme del teatro di varietà futurista e altri reciproci [col pubblico] insulti" (C. Tisdall - A. Bozzolla, Futurismo, Milano 1988, pp. 12-13).

Performance di Michelangelo Pistoletto alla 53ª Biennale d'Arte di Venezia
 


E poi nelle serate dadaiste (debitrici di quelle futuriste), la prima delle quali si svolse al Cabaret Voltaire di Zurigo il 14 luglio 1916. Queste serate
  prevedevano la declamazione di poesie onomatopeiche e  




Umberto Boccioni, Serata futurista, 1911

la lettura simultanea di poemi in lingue sconosciute, magari ad opera di 'poeti' mascherati con costumi di cartapesta; e inoltre musiche popolari ed etniche, rumori, danze esotiche e balli tradizionali.
Ma lasciamo la parola a uno dei protagonisti, Hans Arp: "Sul palcoscenico di una taverna sgangherata e affollata stanno diverse e strane figure che rappresentano Tzara, Janco, Ball, Huelsenbeck, Madame Hennings e il vostro umile servitore. Pandemonio totale. La gente intorno a noi urla, ride, gesticola. Le nostre risposte sono sospiri d'amore, raffiche di singhiozzi, poemi, versi e il miagolare dei bruitists medievali. Tzara sculetta come il ventre di una danzatrice orientale. Janco sta suonando un invisibile violino, si piega ed emette stridii. Madame Hennings con un volto da madonna sta facendo la spaccata. Huelsenbeck sta martellando incessantemente sul grande tamburo accompagnato da Ball al piano, pallido come un fantasma gessoso".




Marcel Janco, Cabaret Voltaire

 

(Giulia Grassi, gennaio-marzo 2010)
 

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