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SCHEDA DIDATTICA 8 |
LA RIPRODUCIBILITÀ DELL'OPERA D'ARTE:
L'INCISIONE
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Il
termine incisione
indica un disegno realizzato a incavo o a rilievo su una
matrice di materiale vario (legno, lastra metallica) e poi trasferito su carta per mezzo della
stampa, che ne consente la produzione in un certo numero di esemplari.
Spesso i due termini, stampa e incisione, sono usati come
sinonimi, in particolare nel caso di prodotti artistici.
L'arte dell'incisione nasce
in Europa nel XV secolo, favorita nella sua rapida diffusione da
una serie di innovazioni tecnologiche: in particolare, la
sostituzione della carta alla pergamena e
l'invenzione della stampa a caratteri mobili e del
torchio.
Con l'incisione l'opera d'arte diventa riproducibile. Certo,
anche nell'antichità erano esistite forme di riproducibilità,
come la realizzazione di statue in bronzo
fuse a cera perduta (metodo
a tasselli) o in terracotta con la tecnica dello stampo; ma
l'incisione permette di trarre dalla matrice un numero notevole
di 'copie conformi all'originale' nel senso che sono, di fatto,
originali.
Le tecniche per realizzare un'incisione sono la
xilografia e la calcografia; ma
sempre l'immagine tracciata sulla matrice (negativo) nella fase della
stampa (positivo) apparirà rovesciata specularmente.
La
litografia, per le sue modalità, rientra in un ambito
diverso. |
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Ercole comandato da Apollo scaccia dal
Parnaso l’Avarizia:
matrice di
rame (negativo) a sinistra e stampa a bulino
a destra |
A. XILOGRAFIA
Incisione
a rilievo su una matrice di legno (xylon
= legno + grafo = scrivo): si incide
scavando intorno al disegno, che viene quindi
'risparmiato' emergendo a rilievo dal fondo. Gli
strumenti utilizzati e l'aspetto della stampa
sono condizionati dalle caratteristiche del
supporto utilizzato.
Una matrice tagliata longitudinalmente rispetto
al tronco, cioè nel senso della fibra, è detta
in legno di filo: viene lavorata con un
coltellino e consente di ottenere contorni
semplici, linerari, con forti contrasti tra
chiari e scuri. Una matrice tagliata
trasversalmente rispetto alla fibra è detta in
legno di testa: è più compatta e si
presta ad essere incisa con linee sottili, anche
molto ravvicinate, ottenendo maggiori dettagli e
anche maggiori sfumature chiaroscurali; viene
lavorata, in genere, con un
bulino.
La matrice viene inchiostrata con un rullo; su
di essa si poggia un foglio di carta, premuto
aiutandosi con un tampone, le mani o il torchio.
Nella stampa finale le parti scavate appaiono
bianche e quelle risparmiate a rilievo nere.
Le prime stampe di questo tipo sono state
realizzate in Cina nell'VIII secolo. In Europa
appaiono tra la fine del XIV e gli inizi del XV
secolo, inizialmente come
carte da gioco e immagini di santi
(piuttosto lineari e talora colorate,
1). Con lo
sviluppo dei procedimenti a stampa, la
xilografia ha avuto una grande diffusione
nell'illustrazione dei libri, in particolare in
Italia e Germania: non a caso uno dei maestri di
questa tecnica è il tedesco Albrecht Dürer (1471-1528)
(3).
Progressivamente sostituita dalla calcografia, è
stata 'riscoperta' alla fine del XIX secolo e
largamente utilizzata nel secolo successivo
dagli Espressionisti tedeschi (2), che la
consideravano
particolarmente adatta ad
esprimere la loro visione dell'arte e della
vita.
In Giappone viene usato un tipo particolare di
xilografie, gli
ukiyo-e
(vedi, in Alipes,
Il Giapponismo). |
B. CALCOGRAFIA
Incisione in cavo realizzata su una
matrice di metallo (chalkós = rame +
grafo = scrivo). La tecnica nasce nelle
Fiandre, intorno alla metà del XV secolo,
nell'ambito della produzione orafa.
Il termine si riferisce, in realtà, a una
pluralità di procedimenti. La matrice metallica,
infatti, può essere incisa sia in modo
diretto (dalla mano dell'artista che 'scava'
il metallo) sia in modo indiretto
(dall'azione di un acido nel quale viene
immersa). A seconda degli strumenti e delle
procedure distinguiamo il bulino, la puntasecca,
la matita nera e il punzone tra i metodi diretti
e l'acquaforte, l'acquatinta e la vernice molle
tra quelli indiretti. Qui ne esaminiamo solo
tre, i più ricorrenti.
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Bulino
Prende il nome dallo strumento usato per
incidere il metallo, già utilizzato da orafi e
armaioli per la decorazione di metalli preziosi
e armi. Il bulino
è un sottile cilindro di acciaio temperato
provvisto di una punta affilata (triangolare, a
losanga ecc) o semicircolare e di una
impugnatura in legno tramite la quale l'incisore
orienta lo strumento ed esercita una pressione.
Orientamento e pressione dello strumento
permettono di ottenere solchi molto netti, di
ampiezza e profondità variabile: quindi una
grande sottigliezza nei dettagli e graduati
effetti di chiaroscuro grazie al tratteggio
incrociato di linee sottilissime. I risultati
sono quindi notevoli, ma richiede molta
precisione e tempi piuttosto lunghi.
La matrice viene poggiata su un cuscinetto
morbido. Il bulino incide il metallo che,
asportato, crea un riccio davanti alla punta e
due lamine (barbe) lungo il solco,
sbavature che alla fine
dell'incisione vengono eliminate. La lastra
viene inchiostrata e l'inchiostro penetra nei
segni incisi. Quindi si passa alla stampa sul
carta. Il risultato finale è un'immagine nitida
e molto precisa. In Italia sono stati maestri
del bulino Pollaiolo, Mantegna e, soprattutto,
Marcantonio Raimondi (1480-1514), definito
'padre |

MARCANTONIO RAIMONDI,
Giudizio di Paride, 1515-16 (da
Raffaello) |
del bulino italiano'; ma ne sono stati
grandi interpreti anche
Albrecht Dürer
e Rembrandt. |
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Puntasecca
La matrice
viene incisa con una punta di acciaio o diamante, e il solco varia a
seconda della pressione esercitata. Le barbe che si sollevano ai
lati dei solchi sottili non vengono rimosse (come nel bulino) e, nella
fase dell'inchiostratura, assorbono inchiostro al pari dei solchi. Per
questo, dopo la stampa l'immagine appare meno netta e regolare, con
effetti di maggiore pittoricismo e morbidezza.
Ma poiché la pressione esercitata dal torchio schiaccia progressivamente
le barbe, che sono determinanti nel conferire pastosità
all'incisione, dalla matrice si può ricavare un numero limitato di
esemplari, al massimo dieci copie.
Per questo, spesso la puntasecca
viene utilizzata soprattutto per i particolari, in associazione con il
bulino o con l'acquaforte. Tra i maggiori interpreti di questa tecnica
c'è, ancora una volta, Albrecht Dürer.
ALBRECHT DÜRER, Il figliol prodigo fra i porci,
1496-97 |
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Acquaforte
La matrice non viene incisa direttamente da
uno strumento manovrato
dall'artista ma indirettamente da un acido (detto mordente);
si tratta solitamente di acido nitrico, che
nel medioevo era chiamato aqua fortis
(da cui il nome) ed era usato per decorare
con fregi armi e armature. Intorno alla fine
del XV - inizi del XVI secolo la tecnica è
stata adottata dagli incisori, ed è ben
presto diventato il più importante tra i
metodi indiretti di lavoro e nella
calcografia in generale. Si è diffusa molto
rapidamente perché, viste le sue modalità di
esecuzione, consente correzioni e modiche,
ed anche una ampia gamma di effetti
chiaroscurali. Il procedimento è piuttosto
laborioso, ma i risultati finali ripagano
l'impegno.
•
La matrice, levigata e sgrassata, viene
coperta uniformemente da uno stato di
cera per acquaforte, poi scurita con
nerofumo. Usando una punta d'acciaio
l'artista 'disegna' sulla cera, rimuovendola
fino a scoprire il metallo sottostante senza
però inciderlo. Le caratteristiche dei
tratti si possono regolare usando punte di
dimensioni diverse.
•
Il retro e i margini della matrice vengono
coperti da una vernice protettiva e la
lastra viene immersa nell'acido: questa fase
si chiama morsura. L'acido
penetra nei segni lasciati scoperti dalla
cera e incide, corrodendolo, il metallo. La
concentrazione dell'acido e la durata della
morsura sono calibrati in base all'ampiezza
e alla profondità dei segni che si vogliono
ottenere. Ci sono vari tipi di morsura:
'piana', quando si effettua una sola
immersione nell'acido: le linee e il
chiaroscuro sono omogenei.
'per coperture', quando si effettuano
più immersioni. Dopo la prima, unitaria, si
coprono di volta in volta con la cera
protettiva solo alcune parti della matrice,
in modo da poter lavorare in maniera mirata
sullo spessore dei segni, dai più sottili ai
più larghi, nelle varie immersioni
nell'acido. In questo modo si ottiene una
varietà di tratti
veramente
notevole.
'per aggiunte', quando la
lastra viene lavorata per fasi successive.
Prima si incidono nella cera solo i segni
che si vogliono più forti e si procede alla
morsura; poi si incidono quelli un po' meno
netti e si ripete la morsura; infine si
lavora sui segni più sottili e leggeri. Con
queste morsure successive si ottengono
effetti molto variati nel tratto e nello
sfumato e, inoltre, l'artista può
rielaborare la sua opera durante il
procedimento chimico.
•
Alla fine di queste operazioni viene rimossa
la cera
superstite dalla lastra metallica, che
reca
incisa sulla sua superficie l'immagine; e
si
passa all'inchiostratura e
alla stampa.
FRANCISCO GOYA,
Il sonno della
ragione genera
mostri,

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1799 |
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GIOVAN BATTISTA PIRANESI,
Tempio di Medica
Medica vicino a Porta
Maggiore, 1745 |
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REMBRANDT VAN RJIN,
Autoritratto al davanzale, 1639 |
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(Giulia Grassi,
giugno-luglio 2009) |
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