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Le relazioni pericolose tra arte e pubblicità

Il lavoro quotidiano di un docente di Storia dell'Arte in un istituto con un corso per "Grafico Pubblicitario" porta naturalmente a confrontarsi con il tema dell'utilizzo, nella pubblicità, delle immagini desunte dal repertorio vastissimo delle arti figurative. E, come corollario, a cominciare una raccolta di questo tipo di pubblicità per proporle, e analizzarle, durante le lezioni. È quello che è capitato alla scrivente, impegnata in questo tipo di corso dal 1995. Col tempo il materiale raccolto è diventato piuttosto consistente, tanto è vero che l'idea del sito, Alipes, è nata proprio dalla volontà di evitarne la dispersione e di sfruttarlo, al meglio, a fini didattici.
Alla frenesia collezionistica si è accompagnata, inevitabilmente, l'esigenza di 'saperne di più', di leggere quanto si andava scrivendo sull'argomento, per una riflessione che andasse al di là del puro esercizio di tipo enciclopedico e della voluttà di riuscire a cogliere, dietro un'immagine pubblicitaria apparentemente 'innocua', i modelli pittorici o scultorei di riferimento. Una riflessione imposta dalla consapevolezza che la pubblicità può rappresentare una chiave di lettura privilegiata, per quanto fortemente di parte, del mondo in cui viviamo: perché attinge a ogni possibile ambito, allude ad archetipi primari o culturali, ora palesemente ora in modo subliminale, cita o stravolge stereotipi linguistici e visuali, incide sui modelli di riferimento assecondandoli e tuttavia influenzandoli. Come l'arte, seduce o annoia, ma comunque preme sulle diverse sensibilità ed esperienze dei fruitori di cui non sempre può pronosticare la reazione.
Certo, c'è chi la considera solo espressione di spregiudicati 'persuasori occulti' che ci manipolano con l'unico scopo di trasformarci in passivi consumatori di beni di cui non abbiamo bisogno (Packard, 1989), chi la individua come un campo del discorso sociale, e quindi parte integrante di una visione sociosemiotica della realtà (Semprini, 2005), chi addirittura arriva a sostenere che la pubblicità è andata assumendo "des fonctions en principe endossées par la religion, prescrivant des comportaments et des codes de conduire, se faisant une étique quotidienne parmi d'autres [...]. La publicité en effet remplit à sa manière des fonctions qui appartiennent à toute religion" (Lugrin-Molla, 2008). La discussione è molto aperta, ma esula dalle finalità di questo sito, e dalle competenze di chi lo ha ideato.

Dunque arte e pubblicità, o arte e ars publicitaria, come qualcuno la definisce. Anche qui non mancano i problemi, e la divergenza di opinioni. Quella pubblicitaria è veramente una "particolare forma di espressione artistica"? Sembrerebbe di sì, se è vero che
Il lavoro dell’artista pubblicitario contemporaneo ricalca il profilo del lavoro dell’artista rinascimentale. Nei meccanismi della produzione delle immagini pubblicitarie riemergono infatti molti elementi che caratterizzano il milieu culturale entro cui l’artista, in particolare l’artista del Rinascimento italiano, gioca il suo ruolo: la presenza di un committente forte, economicamente potente ed esigente; la necessità di un significato da comunicare; il confronto necessario con un target-auditorium non esclusivo, ma variegato anche dal punto di vista sociale, e comunque in possesso degli strumenti adatti per ricevere e comprendere, sia pure a diversi livelli, il messaggio lanciato. Più nello specifico la costruzione dell’opera pubblicitaria – testo eterogeneo di immagine e parola (visual e claim) – è strettamente imparentata, in nobile discendenza genealogica, con l’invenzione dell’impresa quattrocentesca." (Centanni, 2008).
Oppure il mestiere del creativo è da interpretare "come qualcosa che ha a che fare, più che con il fuoco sacro dell'artista e l'esaltazione dell'opera d'arte, con la cura dell'artigiano e l'orgoglio del lavoro ben fatto" (Testa, 2006)? 0, estremizzando, come una semplice prassi tecnica, volgare e con scopi esclusivamente utilitaristici, priva dei connotati che si ritiene abitualmente qualifichino un'opera d'arte, cioè originalità, sincerità, verità, eternità, capacità di esprimere una visione delle cose (Hoffman, 2003)? Un tema rilevante, tanto più che gli scambi e le contaminazioni tra i due ambiti esistono da sempre, poiché "arte moderna e pubblicità si può dire che nascano contemporaneamente e non è certo un caso" (Grazioli, 2001) e, soprattutto nel mondo contemporaneo, la differenza tra di esse si va sempre più attenuando, in certe espressioni addirittura annullandosi.
E, entrando nello specifico del tema di base di questo sito: la citazione di opere d'arte nella pubblicità è messa in atto da 'profanatori' superficiali che, a corto di idee, banalizzano le creazioni artistiche ("È inconfutabile che forme sviluppate dalle esperienze più profonde e sublimi possono essere impiegate e sono di fatto impiegate per idolatrare la realtà più superficiale e meschina" Himmelman, 1981) oppure "La citazione in pubblicità chiama le menti a condividere non solo saperi sull'ultimo detersivo in commercio, o sulla più tecnologica e sofisticata delle macchine, ma a ubbidire a un godimento estetico, a un piacere che il frammento citazionale impone" (Dagostino, 2007)?
Il dibattito è aperto, ed è a tutto campo, con mostre e una serie di studi editi soprattutto negli ultimi due decenni, e la pioneristica r
ubrica Peithò & Mnemosyne del sito "Engramma", dedicata alla relazione tra pubblicità e tradizione classica.

Alipes si incanala, da una prospettiva non accademica ma 'sul campo' vivo dell'insegnamento, in questa tendenza di studi.
È un sito personale, ma vedrà la collaborazione di altri docenti, interessati a rileggere il proprio ambito disciplinare da un punto di vista 'altro', molto stimolante per la ricerca individuale. Si propone, soprattutto, di essere uno strumento utile per i discenti, a cui si offrono elementi ulteriori di informazione e di riflessione sul corso di studi che hanno intrapreso (Grafico Pubblicitario), cercando di agire sulla spinta 'motivazionale'. In questa ottica si è così prevista una sezione di 'schede didattiche' in cui si approfondiscono, sinteticamente, tematiche di carattere teorico e pratico relative alle arti figurative.

Due parole, infine, sul nome del sito. Alipes, 'dai piedi alati', è uno degli epiteti di Mercurio, divinità romana protettrice dei mercanti, in seguito assimilato all'Hermes greco, messaggero degli dei e polytropos, 'multiforme'. Allude così al messaggio, che la pubblicità veicola; al raggiro, dato che non di rado quest'ultima è 'ingannevole' (Mercurio è protettore anche di imbroglioni e ladri); alla persuasione, poiché scopo principale della medesima è indurre all'acquisto e, tra la numerosa prole del dio, c'è Peithò, dea dell'eloquenza che seduce, e convince. Un nome adatto a un sito sull'ars publicitaria.
 
 

Vade retro,
Storia dell'Arte!

 

Giulia Grassi
 (curriculum vitae)

      (marzo 2009)


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