Home       |       Pub e arte       |       Elogio della citazione       |       Pub e ...altro       |        Schede didattiche        |       Area Studenti

 

SCHEDA DIDATTICA 3

 
LA TECNICA DELL'AFFRESC0

 
 
È una tecnica della decorazione parietale. Il nome deriva dal procedimento usato: i colori vengono stesi su una porzione di intonaco umido, fresco, che li assorbe nell'arco di 6/8 ore (a fresco > affresco); se ben realizzata (buon fresco), è una tecnica molto resistente nel tempo. 
Esempi di pittura murale esistono da epoca molto antica: nei palazzi cretesi, all'interno delle tombe etrusche, entro templi e abitazioni di epoca romana. Ma qui facciamo riferimento alle realizzazioni dal XIII secolo in poi, caratterizzate da materiali (colori ricavati da terre e pietre macinate) e metodologie (preparazione della parete da dipingere, procedimenti e tempi nella stesura del colore) che permangono analoghi nel tempo; naturalmente con alcune differenze
.
 

La preparazione della parete prevede almeno due strati di intonaco (arriccio e tonachino), in alcuni casi preceduti da un ulteriore strato (ranfazzo).

1.
Sulla parete, ben pulita, si stendeva un primo strato di intonaco chiamato arriccio:
un impasto di calce grassa spenta, sabbia o pozzolana e acqua; era piuttosto ruvido, e aveva lo scopo di far aderire perfettamente alla superficie un secondo strato di intonaco (tonachino), su cui successivamente veniva steso il colore.

2. Prima di stendere questo secondo strato, sull'arriccio era riportato il disegno del soggetto da dipingere. C'erano varie procedure per farlo.

2a. Nel Medioevo il disegno veniva eseguito direttamente sull'arriccio usando un tipo di ocra rosso-bruna che, nell'antichità, proveniva da una località vicino a Sinope (sul Mar Nero, in Turchia). Per questo il disegno era chiamato sinopia.
Il ritrovamento delle 'sinopie' al di sotto di affreschi
staccati dalle pareti ha permesso di scoprire anche i ripensamenti (pentimenti) del pittore (a fianco).

 

           Ambrogio Lorenzetti, La Vergine annunciata, affresco e sinopia,
1334-1340 (San Galgano, Oratorio di Montesiepi)


2b. In epoca rinascimentale si passa progressivamente al cartone preparatorio. Il soggetto era disegnato (a matita, carboncino, sanguigna) su un cartone della stessa dimensione dell’opera da eseguire ad affresco: questo disegno poteva essere anche molto particolareggiato, e in alcuni casi
                                                                                 addirittura completato con macchie di colore. I procedimenti per trasferirlo sulla parete
                                                                                 erano diversi.
 
- spolvero
Le linee del disegno venivano forate con un punterurolo, quindi il cartone era appoggiato sull'arriccio. Lungo la foratura era premuto un sacchetto contenente finissima polvere di carbone che, passando attraverso i piccoli fori, lasciava sull'arriccio la traccia puntinata del soggetto, i cui contorni potevano venire ripassati con terra di Sinope per maggiore chiarezza.
Con il tempo lo spolvero è stato usato soprattutto per le parti del dipinto che richiedevano una maggiore accuratezza nella resa dei dettagli (ad esempio le mani, i volti, particolari tessuti) mentre per quelle più ampie si impiegavano altre procedure.



Michelangelo, Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano (1508-1512): Diluvio Universale
 

- incisione indiretta o ricalco
È la procedura più usata nel Cinquecento. Il cartone, di un tipo più pesante e spesso rispetto a quello usato nello spolvero, veniva fatto aderire all'arriccio. Con uno stilo metallico si ripassavano i contorni del disegno, in modo da lasciare una traccia incisa del soggetto.
Il metodo era più rapido dello spolvero, ma lasciava sull'intonaco dei segni più larghi, per questo veniva usato raramente nei volti.

 


Michelangelo, Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano (1508-1512): Peccato Originale

 

- incisione diretta
Usata raramente. In casi specifici, l'artista tracciava sull'intonaco ancora umido le linee del disegno, utilizzando una punta metallica e senza servirsi del cartone. Si trova in particolare nelle architetture.
L'incisione diretta lascia un segno duro, dai bordi rialzati, chiaramente distinguibile da quello del ricalco.

 


Michelangelo, Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano (1508-1512): Profeta Isaia (trono)

 

 

- quadrettatura
Usata dagli
inizi del Cinquecento. Il maestro preparava il cartone col disegno, che veniva suddiviso in riquadri; su grandi fogli di carta incollati, e divisi in riquadri come il cartone, veniva riportato il disegno in scala, nella misura ritenuta opportuna.
Poi i fogli venivano tagliati in parti le cui dimensioni corrispondevano alla porzione di affresco che si riteneva di realizzare in una giornata di lavoro, e riportati sulla parete. In questo modo anche gli allievi potevano eseguire fedelmente il lavoro secondo il progetto del maestro.
 


Raffaello, Stanza della Segnatura - Appartamenti Papali in Vaticano (1509-1511): cartone della 'Scuola di Atene'

 

Pittura senza cartone

Si poteva eseguire l'affresco anche senza cartone preparatorio.
Ad esempio, questo è stato riscontrato sulla volta della Cappella Sistina da coloro che hanno restaurato gli affreschi michelangioleschi: alcune parti delle scene della fascia centrale, tutte le lunette, i nudi bronzei sono stati eseguiti così (non ci sono tracce né di spolvero né di incisioni). È probabile che Michelangelo abbia lavorato sulla base di disegni preparatori che però non dovevano essere grandi 'al naturale', perché in questo caso li avrebbe per lo meno incisi sull'arriccio.

 

Michelangelo, Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano (1508-1512): Ebbrezza di Noè

 
3. A questo punto, quando il soggetto era riportato sull'arriccio, si sovrapponeva un secondo strato di intonaco, sottilissimo, composto da un impasto di sabbia fine, polvere di marmo, o pozzolana setacciata, calce spenta e acqua, applicato umido e detto tonachino. Quando si stendevano i colori, stemperati in acqua, la reazione chimica con la calce ‘imprigionava’ i pigmenti nell’intonaco, cristallizzando la superficie e rendendola compatta e molto resistente.
Per avere questi risultati si doveva dipingere sull'intonaco finché era umido: fino alla fine del XIII si è usato il procedimento 'a pontate', sostituito poi da quello 'a giornate'.
 
3a.
a pontate
La parete ricoperta con l’arriccio era divisa in ampie fasce orizzontali che corrispondevano alla porzione che, ogni giorno, era raggiungibile dall’impalcatura (o ponte > "a pontate"). Se la composizione da realizzare era molto ampia, poteva succedere che la realizzazione pittorica di una figura, o di un'intera scena, doveva interrompersi bruscamente se era collocata fra due diverse impalcature.
 
3b. a giornate
Nella Basilica superiore di Assisi (Storie di Isacco) inizia il procedimento detto "a giornate": veniva steso solo lo strato di intonachino che il pittore pensava di poter dipingere fino a quando l’intonaco si manteneva umido, cioè per circa 6-8 ore, una giornata di lavoro; dopo, l’intonaco si seccava e non assorbiva più il colore. Di giorno in giorno si procedeva in questo modo. Le giunture tra le varie giornate erano nascoste con pittura a secco (colori stesi sull’intonaco asciutto).
Seguendo la sovrapposizione delle giunture dell’intonaco è possibile non solo calcolare quante giornate di lavoro sono state necessarie per realizzare un affresco, ma anche la loro successione (sequenza di composizione). In genere si procedeva dall'alto verso il basso e, solo per comodità, da sinistra verso destra, ma non è una regola fissa.
 

           da: www.giottoagliscrovegni.it

Giotto, Cappella Scrovegni a Padova (1303-1305)


Compianto su Cristo morto
: affresco + schema con il numero delle giornate di lavoro e con la sequenza di composizione (indicata dalla inclinazione delle frecce)
 


Per le sue modalità di realizzazione
l'affresco richiede una rapidità d'esecuzione che non consente ripensamenti (pentimenti): eventuali correzioni possono soltanto venire effettuate a secco, con colori a tempera che si sovrappongono, senza integrarsi, con la sottostante pittura stesa a fresco.
A secco erano sempre stesi anche alcuni pigmenti (come l'azzurrite) che erano incompatibili con l'affresco, in quanto danneggiabili dalla calce contenuta nel tonachino; in questo caso veniva usato un 'legante', cioè un materiale (caseina, gomma arabica o olio) che mescolato con il pigmento lo faceva aderire all'intonaco asciutto.


Insofferente a questa tecnica è stato Leonardo. Ne sono esempio sia
l'Ultima Cena dipinta nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie, a Milano,
sia il perduto dipinto murale della Battaglia di Anghiari in Palazzo Vecchio a Firenze (a destra un video con la storia della commissione dell'opera e la descrizione della tecnica usata dal pittore).
 
 

(Per l'Ultima Cena nella pubblicità, clicca qui)

 

 
(Giulia Grassi, marzo 2009)

   

Presentazione     |      Chi siamo      |     Sito- Bibliografia    |     Indice artisti & opere     |      Matdid      |      Link      |     Contatti