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SCHEDA DIDATTICA 21

 
LA NATURA MORTA (STILL-LIFE)

 
 

La natura morta consiste nella rappresentazione di soggetti 'inanimati', in particolare fiori e frutta recisi, selvaggina morta, vasi e contenitori di varia foggia e materiale, libri, strumenti musicali, curiosità esotiche. L'espressione natura morta deriva dal francese nature morte, che fa la sua apparizione intorno alla metà del XVIII secolo. Fino a quel momento il genere pittorico in questione veniva indicato con un termine che significa 'natura immobile, silenziosa': Stilleven (olandese), Stilleben (tedesco), Still-life (inglese).
Si tratta di espressioni che implicano un giudizio di valore negativo rispetto alla 'natura vivente' della pittura che ha per protagonista la figura umana (pittura di storia). Da questo punto di vista, il suo destino è analogo a quello della pittura di paesaggio e della scena di genere. Tutti e tre questi generi pittorici, infatti, hanno le loro origini nella cultura figurativa del XVI secolo, e raggiungono la piena autonomia nel secolo successivo. E tutti e
tre incorreranno nella riprovazione e nella condanna da parte della critica accademica, che li considera una produzione 'inferiore' rispetto alla grande pittura di storia, quella che attinge alla storia sacra, alla mitologia, alla letteratura, e che ha quindi per protagonista l’uomo (non comune) e le sue azioni valorose, esemplari e di pubblico interesse.

Fin dal Seicento, infatti, le Accademie d'Arte che cominciano a costituirsi in tutta Europa si dotano di statuti nei quali i vari generi pittorici vengono ordinati gerarchicamente. Alla natura morta viene riservato il rango più basso, alla pittura storica quello più alto.
Si tratta di una gerarchia che segue sostanzialmente lo schema filosofico del cd Albero di Porfirio, per cui la realtà è vista come strutturata a partire dagli oggetti inanimati (est), cui seguono quelli viventi (est, vivit), poi quelli animati perché senzienti (est, vivit, sentit) e infine l'uomo (est, vivit, sentit, intelligit), che dotato di raziocinio e di un'anima immortale è al vertice della creazione.

Questa impostazione gerarchica spiega il giudizio negativo assoluto sulla natura morta, poiché essa ha per soggetto una natura immobile, inanimata. Ma anche la diffidenza per la pittura di paesaggio, che
raffigura scenari naturali nei quali la presenza dell’uomo ha un'importanza marginale; e per la scena di genere, nella quale protagonista è la vita della gente comune, spesso appartenente agli strati più umili della popolazione, presentata nei suoi aspetti più quotidiani e intimi (il lavoro, i divertimenti, la vita familiare etc).
Un pregiudizio che verrà superato solo alcuni secoli dopo.

Il fatto è che "La natura morta rende immutabile, nella immobilità della posa, un frammento di tempo e di spazio che appartengono alla quotidianità a differenza
 

 
da: N. SCHNEIDER, Nature morte, Taschen 1991
Bovillus, Liber de intellectu, 1509 (fol. 119v)

del tempo del "sacro" e della "mitologia" che appartengono al "per sempre", come di quello della storia "pubblica" o privata del ritratto che prevedono avvenimenti e date precisi: questo il cambiamento concettuale che occorre sottolineare, indipendentemente dall'eventuale portato simbolico che gli oggetti presenti possono aver contratto" (A. Veca in 'Evaristo Baschenis', 1997).
 
 

L'Italia e l'Europa del Nord si contendono il primato delle origini della natura morta, ma i critici non sono ancora riusciti a stabilire in modo inequivocabile a chi spettino realmente.
I sostenitori della linea 'italiana' mettono in evidenza che già nel mondo antico esisteva una produzione di nature morte e che in epoca rinascimentale c'è non solo una ripresa della tradizione artistica antica ma anche un nuovo impulso all'indagine empirica della natura, e alla sua rappresentazione; si tratterebbe quindi di un rinnovato omaggio alla classicità. I sostenitori della linea 'nordica' puntano su fattori socio-culturali: l'assenza di una tradizione
accademica di forte impianto classicista (per cui è nobile solo la pittura di storia); la condanna protestante delle immagini di culto, che favorisce la diffusione di soggetti non religiosi, di contenuto profano; il ruolo predominante assunto dalla borghesia mercantile, che vede nella raffigurazione delle 'merci', che sono alla base del suo successo, la celebrazione del suo nuovo status e della sua ricchezza (sono i medesimi argomenti usati per spiegare l'affermazione anche della pittura di paesaggio e della scena di genere); l'amplissima diffusione del genere (centri di produzione, artisti specializzati) cui farebbe riscontro il carattere episodico del fenomeno in Italia.
C'è anche una interpretazione di mediazione, di chi rileva che "nel corso degli anni le due posizioni si sono dimostrate parimenti valide e attendibili, ciò ... sta a dimostrare che questo genere non ebbe una sola origine, ma nacque in situazioni e ambienti diversi con forme e e apporti la cui varietà ne arricchisce grandemente il significato" (M. Gregori in 'La natura morta al tempo di Caravaggio', 1995). E visto che nel Cinquecento "i maestri più attenti al dato 'naturale' sono soprattutto i pittori attivi nelle Fiandre (in particolare ad Anversa) e in Italia settentrionale. Queste due grandi aree - peraltro in reciproco e intenso contatto - si dividono il 'primato' nella nascita della natura morta" (La natura morta italiana, 2003).

Poiché l'argomento è molto vasto, qui se ne propone una sintetica e ridotta disamina (escludendo gli ultimi due secoli).
 

● IL MONDO ANTICO: XENIA E ASAROTOS OIKOS

L'arte antica ha conosciuto un genere pittorico assimilabile alla natura morta moderna: lo sappiamo sia dalle fonti scritte sia dalle pitture parietali di Pompei e dell'area vesuviana in generale (ritenute dagli studiosi riproduzioni di pitture su tavola).
Queste rappresentazioni erano chiamate
xenia: si usava cioè lo stesso termine che indicava i 'doni ospitali', vale a dire i cibi freschi (frutta, verdure, uova, formaggi...) che gli ospiti trovavano nelle proprie stanze come dono da parte del padrone di casa (Vitruvio, seconda metà del I secolo a.C.). Fondamentale è la testimonianza di Filostrato il Vecchio (III secolo), autore dell'opera Immagini (Εικόνες) in cui c'è la descrizione della pinacoteca di una villa a Napoli (Neapolis). Tra i quadri descritti ci sono due xenia, raffiguranti l'uno della frutta (fichi, pere, ciliege), noci, uva con miele, formaggi e brocche di latte, l'altro della cacciagione e vari tipi di pane e di frutta (compresi fichi e castagne), con l'interessante insistenza sull'illusionismo delle rappresentazioni (Perché non prendi questi frutti che sembrano fuoriuscire dai due cesti? Non sai che se aspetti anche soltanto un poco non li troverai più come sono ora, con la loro trina di rugiada?).
 

Dalla vita quotidiana prende spunto anche un tipo particolare di natura morta, proprio dei mosaici pavimentali: l'asarotos oikos (stanza non spazzata), vale a dire la raffigurazione dei resti di un banchetto - lische di pesce, noccioli di frutta, bucce, gusci di molluschi, zampe di pollo ecc - su un pavimento. Il suo inventore, Sosos di Pergamo (II sec. a.C.), potrebbe infatti essersi ispirato a una pratica devozionale, per la quale le vivande cadute da tavola erano destinate al culto familiare dei defunti. Stando a Plinio il Vecchio (23-79) "L’artefice più celebre di pavimenti a mosaico fu Sosos, che a Pergamo fece il pavimento 'asàrotos oikos', perché con tasselli piccoli e di vari colori vi aveva disegnati, come se vi fossero stati lasciati sopra, i rimasugli della tavola ed altri rifiuti che abitualmente si spazzano via".
Un'invenzione che ha avuto grande successo, tanto da ritrovarne una tarda rilettura nei mosaici sulla volta del corridoio anulare del mausoleo di Costanza (340) a Roma (click).

Xenia e asarotos oikos nascono in epoca ellenistica, quando l'interesse si sposta dall'Uomo ideale (al centro dell'arte classica, vedi il Doriforo di Policleto) all'uomo immerso nella realtà, fuggevole e in continuo cambiamento (vedi l'Apoxyomenos di Lisippo). I centri che giocano un ruolo importante nello sviluppo del genere sembrano 
 


Asarotos oikos da Villa Adriana (Musei Vaticani)

essere stati la citata Pergamo e Alessandria d'Egitto, ma poiché le opere originali sono andate perdute è nell'arte delle città vesuviane, in particolare Pompei, che si coglie il riflesso di quelle produzioni.
Da quest'area provengono, infatti, circa trecento xenia, che fanno la loro apparizione nelle pitture parietali del cd II stile pompeiano (I secolo a.C.) e che appaiono spesso concepiti come veri e propri quadri (pinaches) illusionisticamente appesi tra le architetture in prospettiva tipiche di questo stile. La qualità esecutiva non di rado è mediocre, probabilmente proprio perché si tratta di copie da originali su tavola, ma ce ne sono alcuni molto belli, ed estremamente 'moderni'.
 

Villa di Poppea, Oplontis (Torre Annunziata)

Domus di Giulia Felice, Pompei (staccato)

Villa di Fannio Synistor, Boscoreale

Domus dei Cervi, Ercolano

 

● LE 'COSE' AL CENTRO DELL'INTERESSE (SECC. XV-XVI)
 

Nel XV si assiste a un rinnovato interesse per la rappresentazione delle 'cose', frammenti di realtà che in vario modo fanno da sfondo all'agire umano. Sempre più, infatti, nelle opere pittoriche appaiono vere e proprie nature morte, rese con accurato realismo e illusionisticamente convincenti, anche se concepite solo come arricchimento della scena principale,
incentrata su un soggetto 'storico'. Ciò avviene sia nell'Italia del Rinascimento che nelle Fiandre, aree peraltro caratterizzate da scambi e influssi reciproci. Esemplificativo è il San Girolamo nel suo studio di Jan van Eyck (1435-40), con la sua bellissima natura morta di libri e oggetti che sottolineano l'erudizione del santo.
Tipicamente italiane sono invece le tarsie lignee. Nelle più celebri, dello Studiolo del duca di Urbino nel Palazzo Ducale (1473-76), un uso virtuosistico della prospettiva crea una galleria di immagini in cui protagonisti sono proprio gli oggetti (libri, armi, strumenti musicali, clessidre, gabbiette con uccelli ecc), sia pure inseriti in un percorso di rimandi simbolici (otium e negotium del duca).

Nel XVI secolo questo interesse per le 'cose' si rafforza, probabilmente anche sotto la spinta di un nuovo approccio empirico allo studio della natura. Quello che ritroviamo in Leonardo, artista e scienziato, che ha lasciato un influsso profondo in area lombarda, dove non a caso appaiono i primi esempi italiani di natura morta autonoma (Figino e Caravaggio). E nei naturalisti come Konrad Gessner († 1565) e Ulisse Aldrovandi († 1605), che con le loro pubblicazioni alimentano una produzione di tavole scientifiche che illustrano con correttezza e immediatezza il mondo naturale (attività in cui si distingue il celeberrimo pittore di 'cose naturali' Jacopo Lingozzi).
Un ruolo nella diffusione dei 'naturalia' in tutta Europa lo avrà anche Giovanni da Udine, molto attivo nella bottega di Raffaello, e specializzato nella pittura di grottesche e festoni vegetali, come quelli bellissimi nella Loggia di Psiche di Villa Chigi alla Lungara a Roma (1517-18), con fiori e frutti sicuramente studiati dal vero (per un elenco delle specie vegetali, click).
 
Pieter Aertsen Intorno alla metà del XVI secolo, nella pittura dei Paesi Bassi le 'cose' assumono sempre più importanza.
Ne è un esempio Pieter Aertsen († 1575), nei cui quadri religiosi l'episodio sacro è collocato in secondo piano, mentre buona parte dello spazio appare
 
 

Jan van Eyck

Studiolo del Duca di Urbino

   
Fondo Aldrovandi

Loggia di Psiche

  occupato da una  esposizione di cibi di ogni genere (Cena in Emmaus, 1551-53).
Parallelamente, sempre più diffuse sono le rappresentazioni di scene di mercato e di cucina, un vero trionfo di cibi di ogni tipo: per tutte, la Venditrice di frutta, verdura e pollame (1564) di Joachim Beuckelaer († 1574), nipote di Aertsen.
È in questa produzione che molti studiosi, sostenitori della 'linea nordica', individuano i veri precedenti della natura morta.

Sullo scorcio del XVI secolo 'le cose' si emancipano definitivamente dal loro ruolo di decorazione e diventano protagoniste esclusive del quadro. Come si à detto, non è possibile indicare un luogo (Italia o Nord Europa) e una data precisi di questo accadimento. Si può però dire che in questo processo un ruolo cruciale viene svolto da Caravaggio († 1610), non a caso formatosi in quell'area lombarda dove Giovanni Ambrogio Figino realizza una delle prime 'vere' nature morte (Natura morta con pesche e foglie di vite, 1591-94). Arrivato a Roma intorno al 1592, Caravaggio dipinge una serie di quadri con mezze figure e nature morte, tra cui Ragazzo con cesto di frutta (1593-94) e Bacco (1594-95). E, soprattutto, la celebre Canestra di frutta (tra 1594 e 1599) o Fiscella, compiuta espressione del nuovo genere e
della visione dell'artista, il quale affermava che  "tanta
 
Joachim Beuckelaer
manifattura gli era fare un quadro buono di fiori, come di figure" (Vincenzo Giustiniani, lettera del 1620).
 

 
Giovanni Ambrogio Figino

Caravaggio
 t

● AUTONOMIA DEL GENERE E SPECIALIZZAZIONI (SEC. XVII)
 
Il Seicento è il secolo d'oro della natura morta, particolarmente nell'Europa del Nord (ma anche in Italia e Spagna). La forte richiesta di questo genere di quadri, favorita da particolari fattori socio-culturali (vedi sopra) che ampliano il pubblico di potenziali fruitori e acquirenti, comporta un processo di specializzazione, con l'individuazione di 'sottogeneri' legati al contenuto predominante dei quadri e con denominazioni specifiche. Gli artisti, perciò, si specializzano nella realizzazione di nature morte che hanno per tema il cibo (angolo di cucina; colazione, tavola imbandita), i fiori, gli strumenti musicali; una tipologia specifica assume il nome di vanitas.
 
A - IL CIBO DISPOSTO
.
Il base alla quantità e alla disposizione dei cibi si fa una distinzione fra angolo di cucina, colazione e tavola imbandita. "Con il primo soggetto tendiamo a raccogliere l'analitica classificazione con cui dovunque si usava individuare merceologicamente i dipinti. Gli altri due termini corrispondono alla classificazione con cui, nei paesi di area tedesca, si indicavano due soggetti differenziati, a seconda della maggiore o minore ampiezza dell'apparato. Il carattere di "parata" della "tavola imbandita" si differenziò così dal disordine che può caratterizzare la "colazione". Si può allora parlare di una distinzione che parte dal luogo in cui il cibo si presenta nella figura dell'accumulo, della collocazione provvisoria nell'attesa di una sua trasformazione compositiva nella forma ufficiale della portata, per giungere alla fase appunto dell'ufficialità del banchetto: si distingue dunque un "prima" e un "dopo" il pasto [...]" (Veca, 1990). Questo in linea generale, perché le varianti sono notevoli vista l'ampia casistica di questo tipo di nature morte.
Ci sono due tipi di inquadratura: visione panoramica dall'alto, a volo d'uccello; e punto di vista ribassato e ravvicinato, con messa in evidenza della struttura dei singoli oggetti. Per alcuni critici si succedono cronologicamente, ma non tutti sono d'accordo.
 
a1. Angolo di cucina

Indica l'accumulo di cibi e utensili sopra o sotto tavoli e mensole, esempio di abbondanza ma anche di transitorietà.

Per questa categoria ricordiamo il toscano Jacopo Chimenti detto l'Empoli († 1640),  specializzato nelle scene di cucina con vasellame e cibi disposti in file ordinate, e anche pendenti da ganci.
C'è poi la variante spagnola del
bodegon, cioè l'angolo in muratura su cui vengono appoggiati e appesi ortaggi e carni di consumo quotidiano. Il più grande interprete ne è stato Juan Sanchez Cotán ( 1627), con opere di grande chiarezza e rigore compositivo (Natura morta con frutta, 1602).
 
 

Jacopo Chimenti detto l'Empoli

Cotán

 
a2. Colazione
Nei cataloghi dell'epoca è chiamata ontbijt. Si sviluppa in particolare in area fiamminga e tedesca.
Su una porzione di tavolo sono collocati, con una disposizione apparentemente casuale e in quantità limitata, cibi e suppellettili in vetro, metallo o
ceramica. Prevale il punto di vista ravvicinato, che accompagna una descrizione analitica, con effetti di vero trompe-l'oeil.
I cibi in genere sottendono un significato particolare, spesso religioso: vino, pane e uva sono simboli eucaristici; a Cristo alludono pesci e noci; la mela richiama il peccato originale, burro e formaggio associati alludono allo spreco, le ostriche alla voluttà. E così via.

Tra gli esempi: Natura morta con dessert del tedesco
Georg Flegel († 1638) e Natura morta con bicchieri, limone e ostriche (1633) del fiammingo Pieter Claesz († 1661), grande interprete del genere.

Georg Flegel

Pieter Claesz

v
 

a3. Tavola imbandita
 
Jan Davidszoon de Heem

Indicata nei cataloghi come bancket, ha un'ampia diffusione in Olanda. Ha caratteri di esuberanza e sfarzo, e si propone come una vera e propria 'messa in scena' di oggetti tra i più variati, esaltati da un attento studio della luce.

Tra le più belle, e complesse, ci sono quelle di Jan Davidszoon de Heem (
† 1683) e di Willelm Claeszoon Heda († 1680),  rispettivamente Il dessert (1640) e la Natura morta con torta, brocca d'argento e aragosta (1658).

Willelm Claeszoon Heda

 
B - I FIORI

I motivi floreali sono tra i soggetti preferiti della natura morta, anche perché permettono di esprimere molti significati simbolici. Religiosi, alludendo alla Vergine (il giglio bianco alla purezza, l'iris ai suoi dolori ecc). Ma anche umani, richiamando la bellezza femminile, i sensi della vista e dell'olfatto, l'amore, in tal modo prestandosi ad esprimere anche l'idea della fugacità della bellezza e dei piaceri terreni (vanitas).

Molti pittori utilizzano una composizione a 'torre', combinando un gran numero di fiori. Ne è un esempio il Mazzo di fiori (1606) all'Ambrosiana di Jan Bruegel il Vecchio (
† 1625). Da notare che i fiori più piccoli sono in basso e quelli più grandi in alto.
 
Bruegel il Vecchio

  C - VANITAS
 
Natura morta in cui il tema esclusivo è il richiamo allo scorrere del tempo, alla fugacità della bellezza e dei piaceri terreni, alla inutilità dei lussi mondani di fronte alla ineluttabilità della morte; tutto ciò che nella Bibbia è definito vanitas vanitatum. Temi ai quali, peraltro, alludono spesso le nature morte in generale. Elementi ricorrenti sono: teschi,
innanzi tutto, e candele spente (morte); clessidre e orologi (scorrere del tempo); fiori spezzati e pipe  (brevità della vita); bolle di sapone e calici di vetro (fragilità delle cose terrene), monete e gioielli, libri, specchi infranti, strumenti musicali.
Bruyn the Elder Un precoce esempio di vanitas è sul retro di un ritratto opera di Bart Bruyn il Vecchio († 1555). Mentre bellissime sono quelle dipinte da Harmen Steenwijck († 1656), come la Allegoria delle vanità terrene del 1640.

Harmen Steenwijck

   
Sono espressione della vanitas gli strumenti musicali muti e abbandonati, da soli o fra altri oggetti, in quanto richiamano l'udito e la musica che, col suo carattere evanescente e transitorio, allude alla caducità dell'esistenza e dei suoi effimeri piaceri. Inconfondibili le nature morte del bergamasco Evaristo Baschenis (
† 1677), definito 'sublime ritrattista' di strumenti musicali: grazie al pieno possesso delle tecniche prospettiche gli oggetti, resi con una verosimiglianza virtuosistica (fin nella
polvere che vela le superfici), creano un universo immoto e silenzioso.

Evaristo Baschenis
   
Richiamano la vanitas anche i calici di vetro, la cui fragilità allude al tema della bellezza fugace e
destinata a finire. Come nella Natura morta con cesto di oggetti di vetro (1644) di Sebastian Stosskopff († 1657), col calice in frantumi in primo piano. Sebastian Stosskopff
 

BIBLIOGRAFIA: A. VECA, Natura morta, Art & Dossier 1990; N. SCHNEIDER, Nature morte, Taschen 1991; La natura morta al tempo di Caravaggio, catalogo della mostra - Roma Musei Capitolini, 15 dicembre 1995 - 14 aprile 1996; Baschenis e la natura morta in Europa, catalogo della mostra - Roma Accademia Valentino, 15 marzo - 8 giugno 1997; S. ZUFFI (a cura di), La natura morta, Electa 1999; S. DE CARO, La natura morta nelle pitture e nei mosaici delle città vesuviana, Electa Napoli 2003; L. BORTOLOTTI, La natura morta. Storia Artisti Opere, Giunti 2003;  La natura morta italiana. Da Caravaggio al Settecento, catalogo della mostra - Firenze Palazzo Strozzi, 26 giugno - 26 ottobre 2003
 

[Per l'utilizzo di questo tema nella pubblicità si veda, in Alipes, Un evergreen: la natura morta 1, 2, 3, 4, 5]

 
(Giulia Grassi, gennaio-marzo 2011)
 

 

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